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(Cassazione penale, sezione III, sentenza 7 luglio 2010, n. 25887) Ancora in riferimento alla confisca obbligatoria, la Suprema Corte ha stabilito che: “In relazione al delitto di divulgazione di materiale pedopornografico, la confisca dello stesso e degli apparecchi di qualunque tipo ad esso riferibili ha natura obbligatoria e va disposta anche nel caso di patteggiamento o di proscioglimento per estinzione del reato, in quanto deve essere applicata non già la disciplina generale in tema di confisca prevista dall’art. 240 c.p. ma le specifiche disposizioni di cui agli art. 600 ter e 600 septies. (Cassazione penale, sezione III, sentenza 9 giugno 2006, n. 24054).

Aggiungo che proprio nell’articolo 416-bis, comma 7, c.p. il legislatore ha introdotto un’ulteriore ipotesi di confisca obbligatoria per il delitto di associazione di tipo mafioso.

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L’istituto giuridico della confisca trova molteplici applicazioni nel diritto penale, tanto che può essere disposta nei confronti di immobili serviti a commettere il reato di sfruttamento della prostituzione.

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Tuttavia, non può essere confiscata l’automobile usata per agevolare la prostituzione altrui, mancando, in tale ipotesi, l’imprescindibile nesso strumentale che deve collegare, direttamente e immediatamente la cosa al reato.

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(Cassazione penale, sezione III, sentenza 22 maggio 1978 – 19 ottobre 1978, n. 12798) Resta ancora da analizzare l’ultima tipologia di confisca che è quella cd. “PER EQUIVALENTE”.

In particolare, le ipotesi di confisca per equivalente sono fornite, ad esempio, dai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (art. 322-ter c.p.), da alcuni delitti contro il patrimonio mediante frode (art. 640-quater c.p.), dalla responsabilità da reato delle persone giuridiche (art. 19, Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231), dai reati di pedo-pornografia (art. 600 septies c.p. inserito dalla Legge 11 agosto 2003, n. 228), dai c.d. reati transnazionali (art. 11, Legge 16 marzo 2006, n. 146) ed, infine, in relazione agli illeciti penali in materia di società e di consorzi (art. 2641 c.c.). L’istituto giuridico della confisca “per equivalente” fu introdotto, per la prima volta, all’interno del nostro ordinamento dalla legge 7 marzo 1996, n. 108, in materia di usura.

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Infatti, proprio a tal proposito, l’aart. 644, comma 6, codice penale, stabilisce che, in conseguenza di condanna, la confisca può avere ad oggetto non solo i beni che costituiscono il prezzo o il profitto del reato, ma anche, in alternativa, beni appartenenti al reo per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vanataggi o compensi usurari.

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La finalità perseguita dal legislatore con l’introduzione della cd. confisca per equivalente è stata proprio quella di agevolare il più possibile l’operatività dell’istituto considerate le difficoltà che, in concreto, si possono incontrare ogni qual volta i vantaggi economici del reato siano stati occultati o trasformati in altri beni.

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Tuttavia, l’unico limite che vede l’istituto è la corrispondenza del valore, potendo lo Stato acquisire solo beni di valore “corrispondente” al prezzo o al profitto del reato. In tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione (Sentenza 6 ottobre 2009, n. 38691) hanno stabilito che, in mancanza di norme omogenee, la confisca per equivalente può essere applicata solo al prezzo del reato di peculato e non al profitto.

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In questi ultimi anni, la giurisprudenza tende ad ampliare la portata dei beni confiscabili ritenendo legittima l'ablazione dei beni acquisiti da terzi per donazione o compravendita dall'imputato, accedendo ad una nozione di "disponibilità" come comportamento uti dominus del soggetto, in contrasto con l'apparente titolarità del terzo.

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Proprio in riferimento all’ipotesi di confisca per equivalente il Giudice della Nomofilachia ha stabilito quanto segue: “In tema di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, la somma percepita dal pubblico ufficiale costituisce prezzo del reato ogni qualvolta sia stata data o ricevuta come controprestazione per lo svolgimento dell’azione illecita ed, in quanto tale, è assoggettata a confisca obbligatoria ex art. 240, secondo comma, n. 1 c.p., il cui ambito di applicazione risulta altresì allargato prima dall’art. 322 ter c.p., introdotto dall’art. 3 legge 29 settembre 2000, n. 300 e poi dall’art. 335 bis c.p., introdotto dall’art. 6 L. 27 maggio 2001, n. 97.” (Cassazione penale, sezione VI, sentenza 13 giugno 2001, n. 24043)

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In sintesi, la predetta sentenza riporta il caso in cui la Suprema Corte ha ritenuto prezzo del reato la somma indebitamente ricevuta dal pubblico ufficiale magistrato come controprestazione per avere adottato delle modalità e dei criteri assolutamente illeciti nella liquidazione del compenso al custode.

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