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La corte d'appello, infatti, ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto che la sostanza stupefacente in questione fosse detenuta dall'imputato per uso non esclusivamente personale, e ciò in considerazione sia del fatto che non era stata fornita la prova di un effettivo stato di tossicodipendenza anche all'epoca del sequestro (dalla documentazione prodotta si evinceva solo una frequentazione discontinua del SDS, almeno negli anni precedenti); sia del fatto che, anche se sussistente, uno stato di tossicodipendenza non avrebbe comunque giustificato il possesso di una scorta di droga per il proprio bisogno personale, della cui necessità non erano stati forniti accettabili motivi; sia inoltre delle modalità di conservazione del quantitativo di eroina (trovato suddiviso in due distinti involucri e già miscelato con sostanza da taglio) nonchè dell'accertato possesso di un bilancino di precisione.

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In ordine al reato di cui al capo A) (cessione al N. di eroina in data (OMISSIS)) il ricorrente lamenta innanzitutto, con il terzo motivo, violazione dell'art. 431 cod. proc. pen. perchè le sommarie informazioni testimoniali rese dal N. alla polizia giudiziaria nell'immediatezza dei fatti non erano utilizzabili, in quanto atti ripetibili.

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Il motivo è infondato perchè la corte d'appello non ha utilizzato le dichiarazioni rese dal N. ai carabinieri subito dopo la morte del M., bensì le risultanze della istruttoria dibattimentale ed in particolare le deposizioni degli ufficiali di polizia giudiziaria, i quali avevano riferito non tanto sulle rivelazioni del N., quanto piuttosto sugli esiti delle indagini immediatamente svolte sulla base delle informazioni del N..

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In particolare, la corte ha utilizzato le dichiarazioni del brig. Bo., che aveva riferito di avere subito avvertito i carabinieri di Cave e di avere appreso da essi che l'unico I. ivi residente era il R., conosciuto come assuntore di sostanze stupefacenti; le dichiarazioni del mar. C., che aveva confermato il riferimento ad un " I." e la descrizione dei caratteri somatici di costui; nonchè le dichiarazioni rese in dibattimento dallo stesso imputato, il quale aveva ammesso di abitare nei pressi del bar dove era stata ceduta la droga e di portare in quel periodo la barba.

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Del resto, il N. aveva ripetuto anche in dibattimento che lo spacciatore si chiamava I.. La corte d'appello, pertanto, ha fondato il suo convincimento sulla complessiva valutazione delle risultanze dibattimentali e non sulle prime informazioni rese dal N. alla polizia giudiziaria.

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Con il primo motivo il ricorrente lamenta che la corte d'appello avrebbe ritenuto provata la sua responsabilità sulla base di indizi che non sarebbero certi, precisi e concordanti perchè: era equivoca la circostanza che egli abitasse vicino al bar (OMISSIS); non era concludente il fatto che il N. avesse indicato lo spacciatore con il nome di I. (potendo aver riferito un nome a caso); era irrilevante che egli portasse la barba; la descrizione fisica offerta dal N. era molto generica; non era provato che egli fosse l'unico abitante di (OMISSIS) a chiamarsi I.; non vi era la prova che l'eroina trovata nella sua abitazione fosse la stessa che aveva causato la morte del M. Anche questo motivo si risolve in realtà in una censura in punto di fatto con la quale ci si limita a chiedere, in questa sede di legittimità, una lettura alternativa delle risultanze probatorie.

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Il motivo è comunque infondato perchè la corte d'appello ha ritenuto provato che fosse stato effettivamente il R. a cedere l'eroina al N. quando questi si recò a (OMISSIS) per acquistarla il (OMISSIS), con una motivazione del tutto congrua ed adeguata, fondata su una serie di elementi gravi, precisi e concordanti, quali il fatto che il N. aveva nell'immediatezza riferito prima al brigadiere Bo. e poi al maresciallo C. che il fornitore si chiamava I., descrivendone i caratteri somatici; che i carabinieri di Cave erano subito risaliti al R., conosciuto come l'unico assuntore di sostanza stupefacente di nome I. residente nella cittadina, già condannato per violazioni della legge sugli stupefacenti; che il N. aveva confermato in dibattimento di conoscere il R. e di essersi rifornito da un individuo di nome I. (pur rendendo dichiarazioni confuse e contraddittorie, e dunque poco credibili, sulla identificazione dello spacciatore, in contrasto con l'esplicita e diretta indicazione in tal senso fatta immediatamente dopo la morte dell'amico); che il R. abitava proprio nelle vicinanze del bar dove era stata ceduta l'eroina ed aveva confermato alcune delle proprie caratteristiche somatiche descritte dal N.. Il fatto poi che non sia stata fornita la prova che l'eroina che aveva cagionato la morte del M. fosse la medesima trovata nella abitazione del R. è palesemente irrilevante, dal momento che il sequestro della sostanza stupefacente avvenne oltre tre mesi dopo l'episodio della vendita dell'eroina al N..

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In conclusione, il primo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso devono essere rigettati con conseguente conferma della sentenza impugnata relativamente alle condanne per i reati di cui ai capi A) e C). 3.

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Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge perchè la morte del M. gli è stata addebitata sulla base del solo nesso di causalità materiale, senza tener conto che egli, al momento in cui aveva venduto un ridotto quantitativo di droga al N., non poteva prevedere che questi avrebbe organizzato con gli amici un festino a base di alcol e sostanze stupefacenti, nè poteva conoscere il precario stato di salute del M., il quale assumeva notevoli quantità di medicinali ed era dedito all'alcol.

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Effettivamente, la corte d'appello ha rilevato che la consulenza tecnica aveva attribuito la morte a narcotismo, esaltato nei suoi effetti dalla contemporanea assunzione di alcol etilico, anch'esso depressivo del sistema nervoso centrale.

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