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L'art. 586 c.p., dunque, al pari della norma "generale" sull'aberratio delicti plurilesiva di cui all'art. 83 c.p., comma 2, prevedrebbe una ipotesi di responsabilità oggettiva, ispirata alla regola del qui in re illicita versatur respondit etiam pro casu, in forza della quale l'autore di un delitto deve rispondere oggettivamente per le conseguenze ulteriori non volute di tale delitto.

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Questo indirizzo interpretativo risale a Cass. 17.4.1939, Rossi, ed è stato seguito, tra l'altro, da Cass. 10.4.1945, Gatta; Sez. 1, 14.4.1982, Maccanti, m. 156067; Sez. 1, 25.3.1985, Di Maio, m. 169934; Sez. 6, 8.3.1988, Lucarelli, m. 179343; Sez. 2, 14.2.1990, Bevilacqua, m. 184598 (secondo cui l'art. 586 cod. pen. stabilisce il rapporto tra delitto voluto ed evento non voluto in termini di pura e semplice causalità materiale; perchè se l'autore ha agito nonostante avesse previsto l'evento mortale, ne risponde a titolo di dolo indiretto; mentre se quest'ultimo manca e il nesso di causalità non sia interrotto ne risponde a titolo colposo); Sez. 1, 28.5.1993, Cimare, m. 194773; Sez. 2; 15.2.1996, Caso, m. 205374 (secondo cui si tratta di un caso in cui "l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente come conseguenza della sua azione o omissione" ai sensi dell'art. 42 c.p., comma 3); Sez. 4, 25.1.2006, Bellino, m. 234187.

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La teoria della responsabilità oggettiva e della sufficienza del solo nesso di causalità è stata applicata soprattutto in tema di morte conseguente alla cessione illecita di sostanze stupefacenti.

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Secondo la giurisprudenza dominante, invero, l'art. 586 c.p. può trovare applicazione nei confronti di colui che, a qualsiasi titolo illecito, cede una sostanza stupefacente (così integrando il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73) in caso di morte del cessionario intervenuta a seguito della assunzione della sostanza ceduta.

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In questa ipotesi, lo spacciatore risponderebbe a titolo di responsabilità oggettiva, e sarebbe quindi sufficiente la prova del nesso di causalità materiale fra la precedente condotta e l'evento- morte, non interrotto da cause sopravvenute di carattere eccezionale, mentre non occorrerebbe espletare alcuna indagine sull'esistenza della colpa, la cui presenza non sarebbe necessaria.

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In particolare, in caso di successive, plurime, cessioni dello stupefacente, l'art. 586 c.p. sarebbe applicabile sia al cedente immediato (ossia a colui che ha direttamente ceduto alla vittima la dose rivelatasi fatale) sia anche al cedente mediato (ossia al fornitore del cedente immediato).

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E ciò perchè il nesso di causalità tra la prima cessione e la morte dell'ultimo cessionario, sopravvenuta quale conseguenza non voluta dell'assunzione della sostanza, non sarebbe interrotto in conseguenza delle successive cessioni, le quali vanno considerate come fattori concausali non eccezionali ed anzi del tutto prevedibili.

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La tesi secondo la quale nella fattispecie prevista dall'art. 586 cod. pen. (ed in quella più generale di cui all'art. 83 cod. pen.), la responsabilità per l'evento non voluto (morte o lesioni) si fonderebbe sul solo nesso causale ed avrebbe quindi natura oggettiva è stata sostenuta anche da una parte della dottrina, principalmente sulla base di tre argomenti.

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Innanzitutto, si è osservato che la lettera della legge non richiede esplicitamente che la produzione dell'evento sia determinata da colpa; l'inciso "a titolo di colpa", contenuto nell'art. 83 c.p. (richiamato dall'art. 586 c.p.), si riferirebbe, quindi, solo alle conseguenze sanzionatorie (nel senso che l'evento non voluto viene punito come se fosse colposo), e non al fondamento della responsabilità, che rimarrebbe oggettiva.

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In secondo luogo, e soprattutto, si è fatto leva sulla considerazione che altrimenti la norma sarebbe superflua, perchè sia l'art. 83 c.p. (nella parte in cui prevede la responsabilità dell'agente e nella parte in cui richiama le regole sul concorso di reati) sia l'art. 586 c.p. sarebbero del tutto inutili qualora si limitassero a stabilire l'imputabilità dell'evento non voluto solo in presenza dei requisiti ordinari della colpa.

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In terzo luogo, si è affermato che il criterio di imputazione fondato sulla responsabilità oggettiva sarebbe conforme alla logica di rigore, ispirata a ragioni repressive, che connoterebbe l'atteggiamento del legislatore storico nei confronti del complessivo fenomeno del reato aberrante.

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Nessuno di questi argomenti è però decisivo, come ha rilevato altra parte della dottrina.

Quanto al primo, si è invero osservato che non solo in dottrina e in giurisprudenza, ma anche nello stesso linguaggio legislativo, l'espressione "a titolo di colpa" è utilizzata per designare, insieme, sia il titolo sia il fondamento della responsabilità.

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Il legislatore, ad esempio, ha utilizzato tale formula per indicare fattispecie strutturalmente colpose con le riforme che hanno novellato il testo dell'art. 57 cod. pen. e dell'art. 1217 c.n. (rispettivamente

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