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La legislazione in materia di sostanze stupefacenti, invero, non svolge in via diretta un ruolo di prevenzione delle offese alla integrità fisica dei cittadini, ma, come già rilevato, ha come scopo diretto ed immediato delle sue norme incriminatrici la repressione del mercato illegale della droga e soltanto come scopo ulteriore, collocato sullo sfondo, la tutela della salute pubblica, accanto alla tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico.

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Del resto, a conferma che l'attuale legislazione in materia non ha una destinazione diretta ed immediata alla tutela dell'integrità fisica dei cittadini, sta la scelta del legislatore a favore della non punibilità del consumo personale di stupefacenti.

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E' stato inoltre esattamente osservato che lo scopo ulteriore ed indiretto di tutelare la vita dei possibili consumatori riguarda solo un rischio ed un pericolo generali e generici per l'incolumità e la salute della massa dei consumatori, pericolo che è già incluso nel disvalore complessivo, severamente sanzionato dalle disposizioni sulla produzione e sullo spaccio degli stupefacenti.

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In altri termini, anche riconoscendo che lo scopo "ultimo" della sfera di protezione delle norme che vietano lo spaccio di sostanze stupefacenti sia la tutela della vita dei possibili consumatori, il disvalore di questo rischio generico si esaurisce nell'imputazione per il reato presupposto.

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Il pericolo "iniziale" per l'incolumità insito nel commercio di sostanze stupefacenti, che è di tipo "generico", è già ampiamente previsto e punito per una efficace difesa prodromica della vita, dalle norme speciali sugli stupefacenti.

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Tale disvalore e tale rischio non possono quindi essere replicati in un altro reato per il tramite di una applicazione dell'art. 586 cod. pen. del tutto sganciata dalla sussistenza di un profilo soggettivo di colpa e fondata esclusivamente su una responsabilità oggettiva o su una colpa presunta per violazione della legge penale, perchè in tal modo si verrebbe a sanzionare nuovamente un fatto già incluso per il suo carico di disvalore nella condanna per lo spaccio di droga.

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In altre parole, con le incriminazioni sul divieto dello spaccio viene sanzionata la creazione di un rischio generico per la salute della potenziale platea dei consumatori della sostanza, e non anche il rischio specifico del singolo assuntore, il quale viene invece sanzionato con le incriminazioni per morte o lesioni (dolose o colpose) sempre però che sussista una connessione diretta di rischio tra spaccio e morte del tossicodipendente e sempre che questo rischio specifico sia in concreto rimproverabile allo spacciatore perchè da lui prevedibile ed evitabile.

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E questa relazione non può - a meno di non ricadere appunto in una ipotesi di responsabilità oggettiva - essere automaticamente ed immancabilmente riconosciuta in tutti i casi ipotizzando fittiziamente che l'art. 586 cod. pen. attribuisca alle norme incriminatrici sullo spaccio di stupefacenti anche il valore di specifiche regole di cautela dirette a prevenire la morte o le lesioni del singolo assuntore.

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Anche nel caso di morte o lesioni conseguenti all'assunzione di sostanze stupefacenti, dunque, la responsabilità per questi ulteriori eventi a carico di colui che le abbia illecitamente cedute potrà essere ravvisabile quando sia accertata la sussistenza, da un lato, di un nesso di causalità fra la cessione e l'evento morte o lesioni, non interrotto da fattori eccezionali sopravvenuti, e, da un altro lato, che l'evento non voluto sia comunque soggettivamente collegabile all'agente, ovvero sia a lui rimproverabile a titolo di colpa in concreto, valutata secondo i normali criteri di valutazione della colpa nei reati colposi.

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Occorrerà quindi che l'agente abbia violato una regola cautelare diversa dalla norma (della legge sugli stupefacenti) che incrimina il delitto base e che sia specificamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali.

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Occorrerà poi una valutazione positiva di prevedibilità ed evitabilità in concreto dell'evento, compiuta ex ante, sulla base del comportamento che sarebbe stato tenuto da un omologo agente modello, tendendo peraltro conto di tutte le circostanze della concreta e reale situazione di fatto.

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Si dovrà pertanto verificare se dal punto di vista di un agente modello, nella situazione concreta, risultava prevedibile l'evento morte come conseguenza dell'assunzione, da parte di uno specifico soggetto, di una determinata dose di droga.

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E' poi evidente che per agente modello non si deve intendere uno "spacciatore modello", ma una persona ragionevole, fornita, al pari dell'agente reale, di esperienza nel campo della cessione ed assunzione di sostanze stupefacenti e consapevole della natura e dei normali effetti della sostanza che cede. Deve peraltro farsi una ulteriore precisazione.

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