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Il delitto di omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) è di competenza della Corte di Assise (art. 5 c.p.p.), ma nell’ipotesi del tentativo diviene competente il Tribunale collegiale (art. 33 bis c.p.p.). Si tratta di un delitto che è procedibile d’ufficio (art. 50 c.p.p) dove la misura precautelare del fermo di indiziato di delitto viene sempre consentita (art. 381 c.p.p.) mentre, invece, l’arresto è facoltativo in flagranza nell’ipotesi di cui al primo comma.
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Tuttavia, in tutte le ipotesi di cui al terzo comma dell’art. 579 c.p. l’arresto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 380 c.p.p., diviene obbligatorio. Per il delitto in oggetto, inoltre, possono essere consentite tutte le altre misure cautelari personali coercitive (art. 280 e ss. c.p.p.) ed interdittive (art. 287 e ss. c.p.p.).
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In riferimento ai rapporti con altre fattispecie penali incriminatrici, si deve affermare che il discrimine tra il reato di omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) e quello di istigazione o aiuto al suicidio (art. 580 c.p.) deve essere individuato nel modo in cui viene ad atteggiarsi la condotta e la volontà della vittima in rapporto alla condotta dell’agente.
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Pertanto, si avrà l’omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) nel caso in cui colui il quale provoca la morte si sostituisca in pratica all’aspirante suicida, pur se con il consenso di questi, assumendone in proprio l’iniziativa, oltre che sul piano della causazione materiale, anche su quello della generica determinazione volitiva.
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Invece, si avrà l’istigazione o l’aiuto al suicidio (art. 580 c.p.) ogni qual volta in cui il soggetto passivo del reato (la vittima) abbia conservato il dominio della propria azione, nonostante la presenza di una condotta estranea di determinazione o di aiuto alla realizzazione del suo proposito.
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Quest’ultimo, nel caso dell’istigazione o dell’aiuto al suicidio (art. 580 c.p.), deve essere stato necessariamente realizzato di mano propria dal soggetto passivo del reato (la vittima stessa). In conclusione, merita di essere qui riportata la massima giurisprudenziale di una recente sentenza del Tribunale di Roma del 6 marzo 2007, che è la seguente:
“Deve riconoscersi in capo ad un soggetto in stato vegetativo permanente il diritto fondamentale a rifiutare i trattamenti medici di c.d. 'sostegno vitale' che, alla luce del diritto interno ed internazionale, non possono essere imposti coattivamente al paziente che sia dissenziente e nemmeno proseguiti con la sua volontà stante la revocabilità del consenso.
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Ne consegue che non può essere considerato 'contra legem' il comportamento del medico il quale, in presenza di una impossibilità fisica del paziente, abbia dato effettività al diritto del paziente di non continuare il trattamento terapeutico operando materialmente, come nel caso di specie, il distacco del ventilatore automatico così determinando una fatale crisi respiratoria”.
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In estrema sintesi, si osserva come la predetta sentenza del Tribunale di Roma abbia introdotto un’autonoma causa di giustificazione (cd. esimente) da applicare a chiunque cagiona la morte di un uomo, per la fattispecie penale incriminatrice prevista e punita dall’art. 579 c.p.
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Infatti, è ormai riconosciuto il cd. diritto di autodeterminazione terapeutica, che deve essere inteso quale espressione del principio costituzionale di cui all’art. 32 Cost., il cui esercizio può implicare, talvolta, la morte del malato.
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Più in particolare, forse, all’interno del nostro ordinamento giuridico si sta affermando il principio per cui il paziente può rinunciare ad essere curato allorquando, in casi estremi, si trova in uno stato vegetativo permanente, anche se tale scelta comporta con certezza la sua morte.
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