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La Corte ha altresì aggiunto che la finalità rieducativa non potrebbe essere obliterata dal legislatore a vantaggio di altre e diverse funzioni della pena, che siano astrattamente perseguibili, almeno in parte, a prescindere dalla "rimproverabilità" dell'autore.
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Punire in difetto di colpevolezza, al fine di "dissuadere" i consociati dal porre in essere le condotte vietate (prevenzione generale "negativa") o di "neutralizzare" il reo (prevenzione speciale "negativa"), implicherebbe, infatti, una strumentalizzazione dell'essere umano per contingenti obiettivi di politica criminale contrastante con il principio personalistico affermato dall'art. 2 Cost..
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Pertanto il legislatore ben può - nell'ambito delle diverse forme di colpevolezza - "graduare" il coefficiente psicologico di partecipazione dell'autore al fatto, in rapporto alla natura della fattispecie e degli interessi che debbono essere preservati: pretendendo dall'agente un particolare "impegno" nell'evitare la lesione dei valori esposti a rischio da determinate attività. Ma in nessun caso gli è consentito prescindere in toto dal predetto coefficiente.
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Infine, la Corte ha evidenziato che "il principio di colpevolezza... si pone non soltanto quale vincolo per il legislatore, nella conformazione degli istituti penalistici e delle singole norme incriminatici; ma anche come canone ermeneutico per il giudice, nella lettura e nell'applicazione delle disposizioni vigenti", ribadendo l'esistenza nella tavola dei valori costituzionali di un principio di necessaria colpevolezza, ragguagliato quanto meno al "minimum" dell'ignoranza o dell'errore inevitabile: incida esso sulla norma o sugli elementi normativi del fatto ... ovvero sugli elementi del fatto stesso.
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Orbene, alla luce dei principi costituzionali appena ricordati per come affermati dalla Corte costituzionale, è evidente come una interpretazione adeguatrice dell'art. 586 cod. pen. imponga di disattendere sia il primo orientamento che formula una ipotesi di responsabilità oggettiva pura e propria, fondata esclusivamente sul nesso di causalità materiale, sia gli altri orientamenti che, come rilevato, nella sostanza e negli effetti non si differenziano da una ipotesi di responsabilità oggettiva (che viene in realtà camuffata, ma non superata), come quello della colpa presunta per violazione di legge penale (immancabilmente presente in tutti i casi), o come quello che richiede, oltre al nesso causale, una prevedibilità in astratto dell'evento, ossia una prevedibilità in re ipsa meramente formale e (sempre immancabilmente) presunta in tutti i casi sulla base dalla notorietà della frequenza delle conseguenze letali derivate dall'assunzione di certe sostanze stupefacenti.
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Le richiamate sentenze costituzionali, invero, hanno esplicitamente affermato che si pone in contrasto con l'art. 27 Cost. la previsione sia di una responsabilità oggettiva pura o propria sia del principio qui in re illicita versatur respondit etiam pro casu. Inoltre, l'evento non voluto rientra certamente fra quelli più significativi della fattispecie dell'art. 586 cod. pen. e quindi, per la legittima punibilità del fatto, deve essere accertata la colpa dell'agente in relazione a tale evento.
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Ed il chiaro riferimento fatto dalla sentenza n. 364 del 1988 alla colpa quale "violazione di regole preventive", collegate "al complessivo risultato ultimo vietato", esclude che possa ritenersi conforme al principio costituzionale qualsiasi interpretazione che si basi sulla teoria della colpa presunta per violazione di legge penale.
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D'altra parte, la ricostruzione del principio di colpevolezza per come operata dalla Corte costituzionale, non si concilia nemmeno con la tesi della responsabilità da rischio totalmente illecito.
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Il principio invero richiede, come requisito subiettivo minimo di imputazione, la colpa dell'agente in relazione a tutti gli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie, o quanto meno agli elementi più significativi di essa, ed impedisce di addebitare all'agente anche gli ulteriori eventi che a lui non sono rimproverabili.
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Inoltre, la sentenza n. 364 del 1988 ha anche fatto esplicito riferimento alla colpa quale violazione di regole preventive collegate al complessivo risultato ultimo vietato, in tal modo non accogliendo la tesi di una colpa contrassegnata solo dalla prevedibilità ed evitabilità e non anche dalla violazione di una regola cautelare.
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