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La rilevanza penale della coltivazione “per uso personale”: la tesi maggioritaria In dottrina ed in giurisprudenza è sorta la questione della rilevanza penale della coltivazione domestica per uso personale.

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Infatti, sulla configurabilità del reato di coltivazione di piante dalle quali possano ricavarsi sostanze stupefacenti come reato di pericolo presunto o astratto e, in genere, sulla nozione di coltivazione penalmente rilevante esiste da tempo, e si è di recente accentuato, un contrasto di giurisprudenza (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Ordinanza 7 febbraio 2008, dep. 7 marzo 2008, n. 10495).

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In particolare, il dubbio interpretativo riguardava se la condotta di coltivazione di piante, dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, fosse penalmente rilevante anche quando fosse realizzata per destinazione del prodotto ad uso personale.

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L'orientamento prevalente riteneva che tale condotta fosse sempre penalmente illecita, indipendentemente ed a prescindere dalla sua destinazione finale (per fini commerciali o per mero uso personale).

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In questo senso, ad esempio, v. Cass., Sez. IV, 23.3.2006, n. 10138 in base al quale, la destinazione ad uso personale non può assumere alcun rilievo, sia perché difetta il nesso di immediatezza della coltivazione con l'uso personale, sia perché non può determinarsi a priori la potenzialità della sostanza stupefacente ricavabile.

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Ed ancora, v. Cass., sez. IV, 5.5.1995, n. 913, secondo il quale "l'attività di coltivazione costituisce reato a prescindere dall'uso che il coltivatore intende fare della sostanza ricavabile, dal momento che la coltivazione e la detenzione costituiscono due condotte del tutto distinte e l'art. 75 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, come modificato dal D.P.R. 5 giugno 1993, n. 171 in applicazione dell'esito del referendum, non fa alcun riferimento all'attività di coltivazione" (principio ribadito dalla stessa Sez. VI con le sentenze 5.1.1997, n. 100, Garcea e 5.4.2000, n. 4209, P.G. in proc. Reile).

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Ai fini della verifica circa la sussistenza del reato di coltivazione abusiva non rilevano la quantità e qualità delle piante, la loro effettiva tossicità o la quantità di sostanza drogante da esse estraibile, poiché la previsione incriminatrice è rivolta a vietare la produzione di specie vegetali idonee a produrre l'agente psicotropo, indipendentemente dal principio attivo estraibile (Cass., Sez. IV, 29.9.2004, n. 46529, Aspri ed altro).

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La modesta estensione della coltivazione, la qualità delle piante ed il loro grado di tossicità possono al più rilevare solo ai fini della considerazione della gravità del reato e della commisurazione della pena (vedi Cass.: Sez. IV, 6.2.2004, n. 4836, Felsini e Sez. VI, 9.6.2004, n. 31472, De Rimini).

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Ancora la IV Sezione, con la sentenza 5.2.2001, n. 4928, Croce, ha osservato che il differente trattamento riservato alla coltivazione rispetto alla mera detenzione si fonda sulla valutazione di maggiore pericolosità ed offensività insita nell'essere la coltivazione, la produzione e la fabbricazione di sostanze stupefacenti (sempre penalmente sanzionate ancorché non qualificate da una precisa finalità di commercio) attività che sono tutte rivolte alla creazione di nuove disponibilità, con conseguente pericolo di circolazione e diffusione delle droghe nel territorio nazionale e rischio per la pubblica salute e incolumità.

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