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Cassazione penale, sezione VI, sentenza 5 giugno 2003, n. 24621 In materia di stupefacenti, mentre l’ispezione e la perquisizione previste dal codice di procedura penale presuppongono sempre la commissione di un reato, i poteri concessi alla polizia giudiziaria dall’art. 103 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, hanno un ambito più ampio, essendo subordinati solo alla sussistenza del “fondato motivo di ritenere che possano essere rinvenute sostanze stupefacenti o psicotrope”.

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In questa prospettiva, deve ritenersi legittimo che la polizia giudiziaria, dopo l’esito negativo di una perquisizione personale, sussistendo il fondato motivo che il soggetto detenga all’interno del proprio corpo ovuli contenenti sostanza stupefacente, lo sottoponga, previa autorizzazione del Pubblico Ministero, ad esame radiologico, trattandosi di attività diretta non soltanto all’accertamento del reato (nella specie, verificatosi per l’avvenuto rinvenimento degli ovuli, poi fatti espellere in ospedale, sotto il controllo del medico, mediante la somministrazione di lassativi), ma anche alla tutela del diritto alla salute del soggetto. Cassazione penale, sezione VI, sentenza 22 settembre 2005, n. 33988

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L’articolo 75 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è di particolare rilevanza all’interno del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. Infatti, tale disposizione normativa è in grado di distinguere le condotte penalmente rilevanti da tutte le altre che, invece, rilevano soltanto sul piano dell’illecito amministrativo.

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In relazione alle trasformazioni socio-culturali il legislatore, di recente, ha sostituito e novellato la predetta disposizione normativa con l'art. 4 ter del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, nella L. 21 febbraio 2006, n. 49.

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Pertanto, il primo comma dell’art. 75 D.P.R. n. 309/90 è il seguente: “Chiunque illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope fuori dalle ipotesi di cui all’articolo 73, comma 1 bis, o medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezioni B e C, fuori delle condizioni di cui all’articolo 72, comma 2, è sottoposto, per un periodo non inferiore a un mese e non superiore a un anno, a una o più delle seguenti sanzioni amministrative: sospensione della patente di guida o divieto di conseguirla; sospensione della licenza di porto d’armi o divieto di conseguirla;

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sospensione del passaporto o di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli; sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario.

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In sintesi, si deve affermare che le predette sanzioni amministrative sono in grado di incidere pesantemente sulla vita di una persona, limitandone la libertà di movimento e l’esercizio di alcuni diritti.

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Quindi, i successivi altri commi del predetto articolo disciplinano e regolano le modalità di applicazione delle predette sanzioni amministrative. Fatte queste brevi premesse, è necessario ed opportuno puntualizzare in quali casi la condotta di un soggetto diviene penalmente irrilevante e, di conseguenza, rientra nell’ipotesi di cui all’art. 75 del D.P.R. n. 309/90.

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Sul punto di estrema rilevanza, a mio avviso, è la sentenza della Cassazione penale, sezione VI, 8 ottobre 2007, n. 37078, che è stata in grado di enucleare con chiarezza un nuovo importante principio di civiltà giuridica:

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“In materia di stupefacenti non sono punibili, e rientrano pertanto nella sfera dell’illecito amministrativo previsto dall’art. 75 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope), l’acquisto e la detenzione di droga destinata all’uso personale che avvengano sin dall’inizio per conto e nell’interesse anche di altri soggetti dei quali sia certa l’identità e manifesta la volontà di procurarsi le sostanze destinate al proprio consumo, giacché in tal caso l’omogeneità teleologica della condotta dell’agente rispetto allo scopo degli altri componenti del gruppo caratterizza la detenzione come codetenzione e impedisce che egli si ponga in rapporto di estraneità e diversità rispetto agli altri, con conseguente impossibilità di connotazione della sua condotta come cessione”.

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Pertanto, si deve rilevare che tutte le condotte rientranti nell’ambito di applicazione di cui all’art. 75 D.P.R. n. 309/90 si caratterizzano per essere inoffensive, cioè inidonee a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato dalla norma penale.

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Solo per fare un esempio, ciò può verificarsi nel caso della coltivazione di una sola pianta da cui possa estrarsi un esiguo quantitativo di sostanza stupefacente che diviene del tutto insufficiente a provocare in un soggetto un apprezzabile e significativo stato stupefacente.

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Inoltre, secondo una parte della giurisprudenza, anche le forme cd. atipiche di coltivazione di cannabis ad uso domestico sono del tutto inidonee a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato che si identifica nella salute delle singole persone.

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Tutto ciò per la mancanza di una reale offensività tanto da ricondurre la condotta sopraccitata all’interno dell’area della non punibilità per la conclamata destinazione a proprio esclusivo uso personale della o delle sostanze stupefacenti o psicotrope prodotte.

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Tuttavia, quanto espresso in precedenza viene spesse volte smentito da alcune pronunce della Suprema Corte

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