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Il ragazzo in questione, durante l'ordinario controllo dei carabinieri, era stato trovato impegnato su internet in un collegamento - tramite Facebook - proprio con il coimputato del delitto di produzione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti, reato per il quale era stato condannato!

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Nel sollevare, tramite i suoi legali, formale ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, l'imputato si era lamentato che, nella prescrizione del citato divieto di comunicazione previsto dalla misura degli arresti domiciliari, non era specificato che nello stesso era compreso anche quello della "comunicazione a distanza"; pertanto, a suo dire, egli non era incorso in alcuna violazione di legge perché nel provvedimento "restrittivo" non si era parlato espressamente di divieto di utilizzo di chat tramite internet.

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I giudici di legittimità, con la originale recente sentenza in commento, non hanno, però, inteso aderire a tale orientamento di pensiero ed hanno, nel contempo, dichiarato totalmente inammissibile il ricorso presentato, evidenziando in pronuncia come nel caso di "arresti domiciliari" il divieto di comunicazione è valido anche per quanto concerne internet

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Sull'argomento interviene , altresì , l'avv. ADS , il quale precisa, comunque, che l'utilizzo del computer - e nello specifico di "Internet" - non è, però, illecito quando assuma una mera funzione conoscitiva e ricognitiva da parte di chi è nella condizione di "arresti domiciliari".

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Nel caso di specie - conclude l'avv. ADS - l'utilizzo di internet da parte del soggetto (nei confronti del quale è stata ripristinata la custodia in carcere), però, non aveva una finalità conoscitiva, come sopra evidenziato, bensì era finalizzato alla preparazione di un ulteriore "disegno criminoso", da attuare in occasione della liberazione di un altro complice ristretto in carcere! Partendo da tale considerazione, quindi, la Corte ha giustamente convalidato la decisione del Tribunale di Lecce... in sintesi... utilizzare il computer va bene. ma "chattare" su Facebook no... perché, così, dai domiciliari si torna in cella!!!

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Da un’attenta analisi storica, osservo che il codice Zanardelli (entrato in vigore il 1° gennaio del 1890) non prevedeva alcuna figura criminosa di carattere generale analoga a quella prevista e punita dall’art. 586 c.p., ma soltanto degli specifici delitti il cui fatto tipico si caratterizzava per la creazione di situazioni di pericolo per la vita o l’incolumità individuale.

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In via del tutto preliminare, osservo che l’analisi e l’interpretazione della norma di cui all’art. 586 c.p. è tutt’altro che agevole per ogni giurista. Infatti, proprio a tal proposito, ritengo che la norma si presta a molteplici interpretazioni che conducono a diverse soluzioni giuridiche.

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