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La Corte costituzionale, con la sentenza n. 322 del 2007, ha ribadito che il principio di colpevolezza postula un coefficiente di partecipazione psichica del soggetto al fatto, ed implica quindi che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all'agente ed a questi rimproverabili, siano cioè investiti dal dolo o dalla colpa.
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La Corte ha confermato che il principio di colpevolezza non può essere "sacrificato" dal legislatore ordinario in nome di una più efficace tutela penale di altri valori, ancorchè essi pure di rango costituzionale.
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Ma ha anche chiarito che, nell'ambito delle diverse forme di colpevolezza, il legislatore ben può "graduare" "il coefficiente psicologico di partecipazione dell'autore al fatto, in rapporto alla natura della fattispecie e degli interessi che debbono essere preservati: pretendendo dall'agente un particolare "impegno" nell'evitare la lesione dei valori esposti a rischio da determinate attività".
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Ed ha poi specificato che la soglia minima di compatibilità con l'art. 27 Cost., comma 1, è rappresentata "dall'attribuzione di valenza scusante all'ignoranza (o all'errore) che presenti caratteri di inevitabilità:
giacchè deve poter essere mosso all'agente almeno il rimprovero di non aver evitato, pur potendolo, di trovarsi nella situazione soggettiva di manchevole o difettosa conoscenza del dato rilevante".
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Ciò significa che, qualora si tratti della tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, il legislatore non solo può prevedere che sia sufficiente la sola colpa, invece del dolo, ma può anche richiedere un grado di attenzione ed un obbligo di conoscenza maggiori di quelli normalmente richiesti.
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Nell'ipotesi in esame ricorre una di queste situazioni, sia per la rilevanza costituzionale dei beni (vita ed incolumità fisica) tutelati, sia perchè la natura astrattamente e genericamente pericolosa dell'attività è legislativamente segnalata dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 81, il quale prevede la possibilità che l'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope possa cagionare la morte o lesioni personali dell'assuntore e che in tal caso possano essere configuratoli i reati di cui agli artt. 586, 589 o 590 c.p. per chi abbia determinato o agevolato tale uso, disponendo altresì una notevole riduzione delle pene previste dalle norme sugli stupefacenti se il colpevole presti assistenza alla persona offesa ed informi tempestivamente l'autorità sanitaria o di polizia.
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Ciò significa che il legislatore ha voluto che l'agente sia tenuto a prendere in considerazione tutte le eventuali circostanze del caso concreto ed a desistere dall'azione (ossia dalla cessione dello stupefacente) sia quando taluna di queste circostanze evidenzi un concreto pericolo per l'incolumità dell'assuntore, e sia anche quando rimanga in concreto un dubbio in ordine alla effettiva pericolosità della stessa.
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Lo spacciatore pertanto potrà ritenersi esente da colpa quando una attenta e prudente valutazione di tutte le circostanze del caso concreto non faccia prevedere l'evento morte o lesioni.
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La colpa potrà invece essere ravvisabile quando la morte sia prevedibile, ed anche quando non sia prevista perchè una circostanza pericolosa sia stata ignorata per colpa o sia stata erroneamente valutata sempre per colpa.
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In sintesi, la colpa non potrà essere ravvisata nella prevedibilità in astratto dell'evento morte, desunta dalla presunta frequenza, o dalla notorietà, o dalla ordinarietà di tale evento in seguito alla assunzione di sostanza stupefacente, o in un pericolo che sarebbe presuntivamente insito in qualsiasi cessione della sostanza, ovvero nella natura di talune sostanze più pericolose di altre.
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La colpa andrà accertata sempre e soltanto in concreto, sulla base delle circostanze di fatto di cui il soggetto era o poteva essere a conoscenza e che dimostravano il concreto pericolo di un evento letale a seguito dell'assunzione di una determinata dose di droga da parte dello specifico soggetto.
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All'agente è peraltro richiesto un particolare livello di attenzione e di prudenza, sicchè lo stesso potrà essere ritenuto in colpa qualora non si sia astenuto dal cedere lo stupefacente dinanzi ad una circostanza dal significato equivoco o comunque quando abbia ignorato una circostanza pericolosa o sia caduto in errore sul suo significato e l'ignoranza o l'errore siano determinati da colpa, e siano quindi a lui rimproverabili perchè non inevitabili.
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In via generale dovrà dunque escludersi la responsabilità del cedente per la morte del cessionario in tutte le ipotesi in cui la morte risulti in concreto imprevedibile, in quanto intervenuta per effetto di fattori non noti o non rappresentabili dal cedente, come potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso di cessione di una sostanza "normale" per qualità e quantità e di morte dovuta alla contemporanea assunzione di alcol che abbia accentuato gli effetti della droga (a meno che lo spacciatore sapesse che la vittima era dedita all'uso di alcol o intendesse farne uso in quella occasione); o nel caso di consumo dello stupefacente congiunto all'uso di psicofarmaci, o di consumo da parte di soggetto apparentemente giovane e in buono stato di salute, ma in realtà con gravi difetti fisici, o in precario stato di salute, o con grave vizio cardiaco; o anche nel caso in cui l'agente abbia ceduto un normale quantitativo di droga ad un soggetto presentatosi come consumatore diretto senza che fosse prevedibile l'ulteriore cessione ad un terzo con un ridotto grado di tolleranza (e quindi altamente a rischio di overdose) e ciò quand'anche fosse prevedibile l'ulteriore cessione ad altri.
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Così, ad esempio, la colpa è stata esattamente esclusa (o avrebbe dovuto essere esclusa) perchè il rischio non era prevedibile in concreto nel caso di cessione di un rilevante quantitativo di eroina alla vittima, la quale, accortasi della presenza della polizia, aveva repentinamente ingoiato la bustina di plastica, che però si era aperta nello stomaco (Trib. Palermo, 4.2.2005, C.R.); o di cessione di una dose non eccessiva in cui la morte era stata causata da assunzione di alcol che aveva accentuato gli effetti della droga, senza che il cedente potesse prevedere l'evento morte per effetto congiunto di droga ed alcol (contro Sez. 4, 28.6.1991, n. 11965, Greco, m. 188768, che ritenne sufficiente il solo nesso causale); o di ulteriore cessione da parte dell'acquirente ad un terzo, poi deceduto per il suo ridotto grado di tolleranza agli stupefacenti, conseguente ad un precedente tentativo di disassuefazione, senza che lo spacciatore potesse prevedere l'ulteriore cessione e comunque la cessione ad un soggetto altamente a rischio (contro Trib. Rimini, 3.11.1987, Zaouali, sulla base di un giudizio di prevedibilità in astratto); o di assunzione di una normale dose di stupefacente che abbia provocato la morte ad uno solo dei due cessionari, abituale assuntore di droga, per un meccanismo allergico o idiosincrasico, ignoto allo spacciatore e di cui non vi erano manifestazioni esteriori (Trib. Roma, 12.2.1985, Trombetti).
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Potrà, invece, nei singoli casi concreti, ravvisarsi una responsabilità del cedente quando questi sia stato a conoscenza che il cessionario o il soggetto che di fatto avrebbe assunto lo stupefacente ceduto era dedito all'alcol o al consumo di psicofarmaci o aveva, al di là dell'apparenza, gravi difetti fisici ovvero anche quando la mancata conoscenza di uno di questi fattori sia derivata da errore o da ignoranza evitabili, e quindi inescusabili, come ad esempio nel caso in cui il soggetto abbia ceduto la sostanza ad un acquirente che denotava un alito vinoso, o che presentava caratteristiche esteriori di fragilità fisica o di consumatore di medicinali, o abbia ceduto la droga all'interno di una discoteca o di altro locale in cui solitamente si fa uso di sostanze alcoliche (essendo quindi altamente probabile una assunzione congiunta di droga e alcol), ovvero l'abbia ceduta a soggetti minorenni di cui poteva essere conoscibile la minore resistenza a quella determinata sostanza.
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Analogamente, la colpa in concreto potrebbe essere configurabile quando lo spacciatore abbia ceduto eroina ad un soggetto di cui conosceva i precedenti tentativi di disintossicazione e quindi la maggiore esposizione al rischio di overdose; o quando abbia ceduto sostanza micidiale come l'eroina a persona di giovanissima età, di esile costituzione fisica e che evidenziava la precedente assunzione di tranquillanti.
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E così, ad esempio, correttamente è stata ravvisata la colpa nel fatto che il tossicodipendente era in evidente stato di ebbrezza ed in condizione di sofferenza e precarietà fisica per ingestione di medicinali (Sez. 6, 9.12.1989, n. 5348, Virdis, m. 184003 e 184004); o nel caso in cui il rischio di morte per overdose era prevedibile in concreto a causa delle visibili menomate condizioni della parte offesa, alla ricerca spasmodica di una droga pesante (Sez. 5, 7.2.2006, n. 14302, GT, m. 234584); o nel caso in cui il cedente era a conoscenza che il cessionario nei mesi precedenti aveva ridotto il consumo di stupefacente, esponendosi così al rischio di morte per overdose (Trib. Velletri, 11.3.1986, Mattiazzo); o in cui il soggetto aveva iniettato eroina ad una giovane pur sapendo che non era dedita all'uso di tale droga e che era particolarmente affaticata per un lungo viaggio (Trib.
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Firenze, 6.11.1978, Poulopoulos); o di cessione di droga pesante (eroina) a persona di giovanissima età e di assai esile costituzione fisica, che aveva assunto tranquillanti (Trib. Busto Arsizio, 26.3.1985, Irritano).
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