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Le pene di cui al comma 2 si applicano anche nel caso di illecita produzione o commercializzazione delle sostanze chimiche di base e dei precursori di cui alle categorie 1, 2 e 3 dell'allegato I al presente testo unico, utilizzabili nella produzione clandestina delle sostanze stupefacenti o psicotrope previste nelle tabelle di cui all'articolo 14”.

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Come attenuante specifica, è prevista innanzitutto la lieve entità dei fatti posti in essere. Infatti, è previsto che “quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000”.

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Inoltre, “le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.

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Al contrario, la pena è aumentata se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro. 2. La ratio dell’incriminazione: i reati di pericolo presunto Per quanto concerne la ratio dell’incriminazione, la giurisprudenza costituzionale è ferma nel ritenere che la condotta di coltivazione (punibile fin dal momento di messa a dimora dei semi) si caratterizza, rispetto agli altri delitti in materia di stupefacenti, quale fattispecie contraddistinta da una notevole "anticipazione" della tutela penale e dalla valutazione di un "pericolo del pericolo", cioè del pericolo, derivante dal possibile esito positivo della condotta, della messa in pericolo degli interessi tutelati dalla normativa in materia di stupefacenti.

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Si tratta quindi di valutare la compatibilità dei reati di pericolo presunto con il principio di offensività (Corte Cost., sentenza n. 360 del 1995).

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Nella prospettiva della Corte Costituzionale, la pericolosità della condotta di coltivazione si correla alle esigenze di tutela della "salute collettiva" connesse alla valorizzazione del "pericolo di spaccio" derivante dalla capacità della coltivazione, attraverso l'aumento dei quantitativi di droga, di incrementare le occasioni di cessione della stessa ed il mercato degli stupefacenti fuori del controllo dell'autorità.

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Orbene, la "salute collettiva" è bene giuridico primario che, anche secondo l'elaborazione dottrinale, legittima sicuramente il legislatore ad anticiparne la protezione ad uno stadio precedente il pericolo concreto.

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Anche le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza del 21.9.1998, hanno confermato che i beni oggetto di tutela penale da parte delle fattispecie incriminatrici previste dall'art. 73 del T.U. n. 309/1990 sono individuabili, oltre che nella salute pubblica, anche nella sicurezza e nell'ordine pubblico (in tal senso, si è pure espressa la Corte Costituzionale con la sentenza n. 333/1991), nonché nella salvaguardia delle giovani generazioni, e può sicuramente affermarsi che l'implemento del mercato degli stupefacenti costituisce anche causa di turbativa per l'ordine pubblico e di allarme sociale (Cassazione, Sezione Unite Penali, sentenza 24 aprile 2008, dep. 10 luglio, n. 28605).

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