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“In tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell’assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente, sotto il profilo del nesso di causalità materiale oltre che della colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale e con prevedibilità ed evitabilità dell’evento, qualora il cedente fosse consapevole dello stato di malessere fisico del cessionario al momento della cessione e ciò nonostante gli abbia ceduto sostanza stupefacente di alta qualità sotto il profilo della purezza”.

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Tuttavia, nel caso in cui l’evento sia stato previsto come certo o come altamente probabile e quindi voluto, non può prospettarsi l’ipotesi di cui all’art. 586 c.p. (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto), né quella del concorso anomalo di cui all’art.116 c.p.

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Lo scrivente osserva, altresì, che la norma di cui all’art. 586 c.p. pone l’evento non voluto a carico dell’autore di un delitto doloso per il solo fatto che tra condotta ed evento sussista il nesso di causalità materiale, purchè non interrotto ai sensi e per gli effetti dell’art. 41, cpv., c.p. da eccezionali fattori eziologici sopravvenuti.

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In riferimento ai rapporti con altri reati, il reato di cui all’art. 586 c.p. (morte come conseguenza di altro delitto) si differenzia dall’omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.) perché mentre nel secondo l’attività del colpevole è diretta a realizzare un fatto che, ove non si verificasse la morte, costituirebbe reato di percosse o di lesioni, nel primo l’attività deve concretarsi in un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni.

Sempre in tema di rapporto con altri reati, fra l’art. 586 c.p. e l’art. 589 c.p. (omicidio colposo) esiste un concorso apparente di norme, che va risolto ex art. 15 c.p. con l’applicazione esclusiva della norma speciale.

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La quale è proprio quella dell’art. 586 c.p., che prevede alcuni elementi comuni con la norma dell’art. 589 citato (condotta umana che cagiona l’evento della morte di una persona) e alcuni elementi aggiuntivi esclusivi (colpa consistente nella commissione di un delitto doloso, pena aggravata).

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Ne consegue che allorquando la morte è conseguenza di altro delitto non può applicarsi la norma dell’art. 589 c.p., ma deve, piuttosto, applicarsi soltanto quella dell’art. 586 c.p. (in tal senso si veda la Cassazione penale, sezione III, 9 febbraio 1996, n. 1602).

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Inoltre, è importante mettere in evidenza, per una migliore completezza espositiva dell’argomento, che il reato di omicidio quale conseguenza di altro delitto, di cui all’art. 586 codice penale, non concorre con il reato di omissione di soccorso di cui all’art. 593 codice penale, in quanto l’evento letale già posto a carico dell’agente quale autore di un reato di danno (art. 586 codice penale) non può essere addebitato allo stesso anche quale conseguenza di un reato di pericolo (art. 593 codice penale).

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(Cassazione penale, sezione VI, sentenza 10 febbraio 1989, n. 1955) In ultima analisi, secondo il modesto parere dello scrivente, nei confronti di colui che, a qualsiasi titolo illecito, cede una sostanza stupefacente (così integrando il reato previsto e punito dall’art. 73 del D.P.R. n. 309/1990), in caso di morte del cessionario, intervenuta a seguito di assunzione della sostanza ceduta, può trovare applicazione l’art. 586 c.p.

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Infatti, l’auto-assunzione dello stupefacente ceduto non rimuove il nesso causale, essendo essa la più normale e probabile conseguenza della cessione.

Inoltre, ferma restando la necessità di accertare la colpa in concreto, in caso di successive, plurime, cessioni della sostanza stupefacente, lo scrivente ritiene ancora assolutamente applicabile l’art. 586 c.p. sia al cedente immediato (colui, cioè, che ha direttamente ceduto alla vittima la dose rivelatasi fatale), sia al cedente mediato (cioè al fornitore del cedente immediato).

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Pertanto, ritengo che le cessioni intermedie non possono essere considerate, in alcun modo, come delle cause sopravvenute idonee ad escludere il nesso di causalità.

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Proprio su quest’ultimo punto, riporto, successivamente, proprio due pronunce della Suprema Corte che confermano la mia tesi sopra esposta.