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La norma di cui all’art. 586 c.p. si differenzia dall’art. 83 c.p. in quanto la prima prevede che la responsabilità per il secondo evento non sia subordinata all’indagine sull’errore dei mezzi di esecuzione del reato o sull’altra causa richiesta, al contrario, dall’art. 83 c.p.

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Il problema centrale dell’istituto giuridico disciplinato dalla norma dell’art. 586 c.p. è costituito dall’individuazione del rapporto tra il delitto doloso di base e l’evento di morte o di lesione non voluto.

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Il ragazzo in questione, durante l'ordinario controllo dei carabinieri, era stato trovato impegnato su internet in un collegamento - tramite Facebook - proprio con il coimputato del delitto di produzione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti, reato per il quale era stato condannato!

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La contestazione del provvedimento del GIP di convalida dell’arresto potrà avvenire solo attraverso l’utilizzo di argomenti di puro diritto e, pertanto, troverà il suo sbocco naturale nel ricorso per cassazione, che si caratterizza per la sua natura d’istanza a un Giudice di mera legittimità.

Il Giudice, nel convalidare l’arresto dovrà tener conto della gravità del fatto e della pericolosità del soggetto, anche in rapporto alla sua personalità e alle circostanze del fatto. (Cass. pen, Sez. IV, 22-02-2007).

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Il carattere totalmente favorevole alla posizione della Difesa, proprio dell’orientamento della giurisprudenza più recente può far sorgere qualche dubbio, dovendosi riflettere sul fatto che, in tal maniera, si omologano fattispecie concrete, che possono effettivamente essere diversificate fra esse, anche in rapporto al tipo di sostanza stupefacente, che viene in considerazione, nonché ad eventuali precedenti del soggetto, sorpreso a detenere una sostanza stupefacente. In ogni modo, non può non tenersi conto del recente orientamento espresso dalla Cassazione.

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Secondo la Cass SS.UU. 24 Aprile 2008, n. 286 deve ritenersi esclusa l’offensività della condotta, in rapporto all’uso di sostanze stupefacenti, quando la quantità della sostanza sia talmente esigua, da escludere l’efficacia drogante del prodotto.

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La legislazione in materia di sostanze stupefacenti, invero, non svolge in via diretta un ruolo di prevenzione delle offese alla integrità fisica dei cittadini, ma, come già rilevato, ha come scopo diretto ed immediato delle sue norme incriminatrici la repressione del mercato illegale della droga e soltanto come scopo ulteriore, collocato sullo sfondo, la tutela della salute pubblica, accanto alla tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico.

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CASI DI DIRITTO PENALE 2009, pag. 107. In tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell'assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale (massima estratta da Corriere del Merito, 2009, 8-9, 887 nota di PICCIALLI). Cassazione penale Sez. Unite, (ud. 22-01-2009) 29-05-2009, n. 22676 Svolgimento del processo

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La quarta sezione penale - cui il ricorso era stato assegnato -, con ordinanza del 24.9.2008, ha rimesso alle Sezioni Unite la questione oggetto del secondo motivo di ricorso, attinente i presupposti necessari della responsabilità ex art. 586 cod. pen. per la morte o lesione di una persona come conseguenza non voluta di altro delitto doloso.

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La corte d'appello, infatti, ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto che la sostanza stupefacente in questione fosse detenuta dall'imputato per uso non esclusivamente personale, e ciò in considerazione sia del fatto che non era stata fornita la prova di un effettivo stato di tossicodipendenza anche all'epoca del sequestro (dalla documentazione prodotta si evinceva solo una frequentazione discontinua del SDS, almeno negli anni precedenti); sia del fatto che, anche se sussistente, uno stato di tossicodipendenza non avrebbe comunque giustificato il possesso di una scorta di droga per il proprio bisogno personale, della cui necessità non erano stati forniti accettabili motivi; sia inoltre delle modalità di conservazione del quantitativo di eroina (trovato suddiviso in due distinti involucri e già miscelato con sostanza da taglio) nonchè dell'accertato possesso di un bilancino di precisione.

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La Corte ha quindi ritenuto che ai fini dell'art. 586 cod. pen. "il rapporto tra il fatto doloso (lo spaccio di sostanza stupefacente) e l'evento non voluto (la morte del tossicodipendente) è di causalità materiale, sicchè l'imputato, autore del delitto doloso, deve rispondere a titolo di colpa dell'evento morte non voluto indipendentemente o anche in assenza di qualsiasi errore o altro fatto colposo o accidentale:

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L'art. 586 c.p., dunque, al pari della norma "generale" sull'aberratio delicti plurilesiva di cui all'art. 83 c.p., comma 2, prevedrebbe una ipotesi di responsabilità oggettiva, ispirata alla regola del qui in re illicita versatur respondit etiam pro casu, in forza della quale l'autore di un delitto deve rispondere oggettivamente per le conseguenze ulteriori non volute di tale delitto.

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L.4 marzo 1958, n. 127 e L. 5 giugno 1962, n. 616). Invero, pronunciandosi in ordine a queste ultime ipotesi criminose, la Corte costituzionale (rispettivamente con la sent. n. 198 del 1982 e la sent. n. 42 del 1966) ha riconosciuto il fondamento colposo della responsabilità; ed anche questa Corte ha individuato nella colpa il fondamento della responsabilità prevista dal nuovo testo dell'art. 57 cod. pen. (Sez. Un., 18 novembre 1958 n. 18, Clementi, m. 98038).

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Alla base di questo indirizzo vi è quindi l'idea che la disciplina legislativa sulle sostanze stupefacenti svolgerebbe anche un ruolo di prevenzione delle offese all'integrità fisica dei cittadini. 6.2.

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La colpa è invero violazione di una regola di condotta che prescrive le modalità di comportamento da adottare in un caso concreto per evitare il verificarsi di uno specifico evento offensivo.

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Con la prima decisione (relativa ad una condanna, ex art. 586 c.p. per morte conseguente al delitto di violazione di domicilio, di un soggetto che era entrato nel cortile dell'abitazione di un tizio che lo aveva rimproverato e che successivamente era morto per fissurazione di un aneurisma da cui era affetto), è stato affermato il principio che "nel reato di cui all'art. 586 cod. pen. è solo il nesso di causalità materiale, legato alla precedente condotta delittuosa dell'agente, che giustifica il giudizio di responsabilità per l'evento non voluto", ma si è peraltro escluso che si tratterebbe di una ipotesi di responsabilità obiettiva essendo invece l'evento punito a titolo di colpa, perchè è "già punita l'attività volontaria di base, di guisa che se essa è rischiosa non v'è motivo per sollevare il colpevole per una parte del rischio corso, collegata con nesso di causalità materiale", aggiungendo che "dove manca l'area lecita di rischio ed il soggetto affronta il rischio ugualmente, non c'è motivo di sostenere che il principio di colpevolezza sarebbe incompatibile con questo tipo di reato".

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Questo orientamento è stato affermato, tra l'altro, da Sez. 1, 19 ottobre 1998, n. 11055, D'Agata, m. 211611 (secondo cui nell'art. 586 c.p., "poichè l'accollo dell'evento ulteriore e più grave rispetto a quello voluto appare incompatibile con il principio di colpevolezza, secondo l'interpretazione dei principi costituzionali sulla personalità della responsabilità penale e sulla necessaria imputazione soggettiva degli elementi più significativi della fattispecie criminosa, l'affermazione di responsabilità dell'agente per l'evento non voluto deve necessariamente ancorarsi a un coefficiente di prevedibilità, concreta e non astratta, del rischio connesso alla carica di pericolosità per i beni della vita e dell'incolumità personale, intrinseca alla consumazione del reato doloso di base"); da Sez. 1, 14.11.2002, n. 2595, Solazzo, m. 223841; e da Sez. 6, 29.11.2007, n. 12129, Passafiume, m. 239585 (secondo cui, in tema di reato di maltrattamenti in famiglia, l'imputazione soggettiva dell'evento aggravatore, non voluto, della morte della vittima per suicidio ne richiede la prevedibilità in concreto come conseguenza della condotta criminosa di base).

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L'art. 586 c.p. non è, pertanto, che una conferma e una particolare applicazione di questo principio generale, e trova la sua ragione nel fatto che viene stabilito un aumento di pena per l'omicidio e le lesioni personali colposi" (Relazione a S.M. il Re, vol. 1, p. 86).

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E' vero che la Corte affermò anche che l'art. 27 Cost., comma 1, non contiene un tassativo divieto di responsabilità oggettiva, ma fin d'allora precisò che ciò vale solo per la cd. responsabilità oggettiva spuria od impropria, ossia per quella ipotesi in cui non è coperto da dolo o colpa un solo elemento del fatto, magari accidentale.

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La Corte ha altresì aggiunto che la finalità rieducativa non potrebbe essere obliterata dal legislatore a vantaggio di altre e diverse funzioni della pena, che siano astrattamente perseguibili, almeno in parte, a prescindere dalla "rimproverabilità" dell'autore.

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La stessa sentenza ha anche precisato che "la colpevolezza costituzionalmente richiesta ... non costituisce elemento tale da poter essere, a discrezione del legislatore, condizionato, scambiato, sostituito con altri o paradossalmente eliminato".

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Queste obiezioni non appaiono però decisive.

A fronte della presunta contraddizione, si è invero evidenziato che l'esclusione della possibilità di configurare una colpa in chi versa in re illicita comporterebbe una violazione del principio di uguaglianza, ponendo sullo stesso piano chi cagioni l'evento ulteriore non voluto in circostanze che rendevano agevole la previsione del suo verificarsi e chi lo cagioni in circostanze eccezionali, tali da non renderlo prevedibile.

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