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Cassazione penale, sezione VI, sentenza 5 giugno 2003, n. 24621 In materia di stupefacenti, mentre l’ispezione e la perquisizione previste dal codice di procedura penale presuppongono sempre la commissione di un reato, i poteri concessi alla polizia giudiziaria dall’art. 103 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, hanno un ambito più ampio, essendo subordinati solo alla sussistenza del “fondato motivo di ritenere che possano essere rinvenute sostanze stupefacenti o psicotrope”.

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Si riporta in allegato il testo dell’art. 103 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 Art. 103. (Legge 26 giugno 1990, n. 162, art. 25, comma 1). (Controlli ed ispezioni). 1. Al fine di assicurare l’osservanza delle disposizioni previste dal presente testo unico, gli ufficiali e sottufficiali della Guardia di finanza possono svolgere negli spazi doganali le facoltà di visita, ispezione e controllo previste dagli artt. 19 e 20 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, fermo restando il disposto di cui all’art. 2, comma 1, lettera o), della Legge 10 ottobre 1989, n. 349.

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Invece, in questa logica legislativa, che vuole la punibilità dell’atleta-assuntore, viene compromessa la possibilità di risalire, nonché reprimere, i fenomeni commerciali che ruotano attorno a lui (accertamenti su chi procaccia, somministra le sostanze dopanti ovvero attua le pratiche mediche per i fini illeciti vietati dalla norma) e che alimentano il mondo sportivo; può pacificamente rilevarsi, infatti, che l’atleta sia l’ultimo anello debole di una catena ben più ampia.

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L’art. 9, infatti pare integrare una tipica ipotesi di “norma penale in bianco”, poiché la legge nel classificare le sostanze dopanti, rinvia ad un elenco di farmaci, sostanze e pratiche mediche elaborate dalla Commissione Antidoping e trasfuse in un decreto ministeriale (emesso il 15 ottobre 2002 dal Ministro della Salute, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, e pubblicato sella G.U. n. 278, suppl. ord. del 27/11/2002).

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In questo senso, allora, la condotta di coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanze stupefacenti integra un tipico reato di pericolo presunto, connotato dalla necessaria offensività della fattispecie criminosa astratta (Corte Costituzionale, con la sentenza n. 360 del 1995)

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La legge non limita la contestazione del reato al solo concetto di presenza nei campioni biologici di sostanze vietate ma estende l’accertamento del reato ad una più complessa valutazione di elementi di natura bio-medica e fornisce, inoltre, una ulteriore definizione di doping:

Art.1 comma 2.: «Costituiscono doping la somministrazione o assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”….

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La prima normativa antidoping, in Italia, è costituita dalla L. 1099 del 26.10.1971(sulla tutela sanitaria delle attività sportive) i cui artt. 3 e 4 punivano l’impiego di sostanze nocive per la salute degli atleti, al fine di modificare le loro energie artificialmente.

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La sentenza n. 360 del 1995 evidenziò altresì che la persistente illiceità penale della coltivazione, anche qualora univocamente destinata all'uso personale ed indipendentemente dalla quantità di principio attivo prodotto, resisteva anche alla verifica condotta (ex artt. 25 e 17 Cost.) alla stregua del principio di offensività, rilevando che "la verifica del rispetto del principio dell'offensività come limite di rango costituzionale alla discrezionalità del legislatore ordinario nel perseguire penalmente condotte segnate da un giudizio di disvalore implica la ricognizione della astratta fattispecie penale, depurata dalla variabilità del suo concreto atteggiarsi nei singoli comportamenti in essa sussumibili.

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L'irragionevolezza di siffatte conseguenze finirebbe col dipendere dalla scelta di affidare la definizione del fatto al momento in cui si apprende la notitia criminis".

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L'analisi storicizzata dell'espressione "o comunque detiene" conduce a ritenere che essa si rifèrisca ad un comportamento descrittivo formulato in termini di sintesi, dato che tutte le condotte previste dall'art. 73 del D.P.R. n. 309/1990 sembrano comunque presupporre una forma di detenzione.

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La tesi minoritaria. Un diverso (e minoritario) orientamento, affermatosi nella giurisprudenza più recente, ritiene, al contrario, che la c.d. "coltivazione domestica" non integri gli estremi della fattispecie tipica della "coltivazione" oggetto di incriminazione nell'ambito dell'art. 73, comma primo, del D.P.R. n. 309 del 1990, ma costituisca species del più ampio genus (di chiusura) della "detenzione", di cui al IO comma del successivo art. 75, risultando conseguentemente depenalizzata se finalizzata all'esclusivo uso personale, e ciò anche alla luce del regime normativo introdotto dalla legge n. 49 del 2006.

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Il nuovo testo dell'art. 59 c.p., comma 2, richiede, infatti, che le circostanze aggravanti siano "ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa": si tratta quindi di una colpa che si innesta su un fatto già di per sè costituente reato.

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“Nel caso di morte derivata dall’assunzione di sostanza stupefacente, va affermata la responsabilità del fornitore ai sensi dell’art. 586 codice penale.

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Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.

È sempre disposta la confisca:

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“Ai fini della confisca del veicolo (nella specie autovettura), in caso di guida in stato di ebbrezza , non può considerarsi estranea al reato la persona, diversa dal conducente e proprietaria di esso, che sia presente sul mezzo come passeggera (Fattispecie in tema di sequestro preventivo).

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(Cassazione penale, sezione III, sentenza 7 luglio 2010, n. 25887) Ancora in riferimento alla confisca obbligatoria, la Suprema Corte ha stabilito che: “In relazione al delitto di divulgazione di materiale pedopornografico, la confisca dello stesso e degli apparecchi di qualunque tipo ad esso riferibili ha natura obbligatoria e va disposta anche nel caso di patteggiamento o di proscioglimento per estinzione del reato, in quanto deve essere applicata non già la disciplina generale in tema di confisca prevista dall’art. 240 c.p. ma le specifiche disposizioni di cui agli art. 600 ter e 600 septies. (Cassazione penale, sezione III, sentenza 9 giugno 2006, n. 24054).

Aggiungo che proprio nell’articolo 416-bis, comma 7, c.p. il legislatore ha introdotto un’ulteriore ipotesi di confisca obbligatoria per il delitto di associazione di tipo mafioso.

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NEL CASO DI CONFISCA FACOLTATIVA IL GIUDICE E’ TENUTO A MOTIVARE L’ESERCIZIO DEL SUO POTERE DISCREZIONALE.

La funzione della confisca facoltativa è proprio quella tendente a prevenire la commissione di altri reati, sottraendo alla disponibilità del colpevole cose che, qualora rimanessero in suo possesso, potrebbero agevolarlo nel realizzare nuovi fatti criminosi della stessa indole.

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Lo scrivente osserva, altresì, come LA CONFISCA RISPONDE ALL’ESIGENZA DI PUNIRE IL COLPEVOLE DI UN REATO CON L’ULTERIORE OBIETTIVO (principale od aggiuntivo) DELLA RIDISTRIBUZIONE DELLE CONSISTENZE PATRIMONIALI ILLECITAMENTE OTTENUTE.

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L’Atto Camera n. 3774 “introduzione dell’articolo 588-bis del codice penale in materia di omicidio commesso a causa della guida in stato di ebbrezza o di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, nonché abrogazione del terzo comma dell’articolo 589 del codice penale” assegnato il 21 Dicembre 2010, esame non ancora iniziato, vorrebbe inserire dopo l’art. 588 c.p. l’art. 588 bis (omicidio commesso a causa della guida in stato di ebbrezza o di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti o psicotrope)

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Servizi di trasporti pubblici, taxi a costi agevolati, sovvenzioni?

No. Accogliendo un appello da parte dell’Associazione italiana familiari e vittime della strada in data 8 Marzo 2010 è stata presentata la proposta di legge n. 3274 “modifiche agli articoli 589, 590 e 590-bis del codice penale, in materia di omicidio colposo, lesioni personali colpose e computo delle circostanze, e all’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274, in materia di competenza del giudice di pace”.

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La responsabilità penale per morte o lesioni costituenti conseguenza non voluta di un delitto doloso (art. 586 c.p.), deve ritenersi configurabile, attesa la indefettibilità, nell’attuale sistema normativo, del principio di colpevolezza tendenzialmente esclusivo di ogni forma di responsabilità oggettiva, solo a condizione che sussista un coefficiente di riferibilità psicologica, a titolo di colpa, dell’evento non voluto all’autore del delitto voluto.

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Cassazione penale, sezione VI, sentenza 4 dicembre 2006, n. 35 Può configurarsi come confisca per equivalente anche l’istituto previsto dall’art. 19 decreto legislativo n. 23 del 2001 che reca la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti.

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“In tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell’assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente, sotto il profilo del nesso di causalità materiale oltre che della colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale e con prevedibilità ed evitabilità dell’evento, qualora il cedente fosse consapevole dello stato di malessere fisico del cessionario al momento della cessione e ciò nonostante gli abbia ceduto sostanza stupefacente di alta qualità sotto il profilo della purezza”.

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