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In questo senso, allora, la condotta di coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanze stupefacenti integra un tipico reato di pericolo presunto, connotato dalla necessaria offensività della fattispecie criminosa astratta (Corte Costituzionale, con la sentenza n. 360 del 1995)
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Ai fini tuttavia del rispetto del principio di offensività, si impone l’obbligo, in ogni caso, da parte del giudice di merito di accertare la pericolosità reale della condotta incriminata. Infatti, il principio di offensività - in forza del quale non è concepibile un reato senza offesa ("nullum crimen sine iniuria") - secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, reato senza offesa opera su due piani, "rispettivamente, della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, precetto comunque la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale (offensività in astratto), e dell'applicazione giurisprudenziale (offensività in concreto), quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse tutelato" (così testualmente Corte Cost. n. 265/05 e, in senso conforme, vedi pure le decisioni nn. 360/95, 263/00, 519/00, 354/02).
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In altre parole, non è di per sè incompatibile con il principio di offensività la configurazione di reati di pericolo presunto; né nella specie è irragionevole od arbitraria la valutazione, operata dal legislatore nella sua discrezionalità, della pericolosità connessa alla condotta di coltivazione.
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Diverso profilo è quello dell’offensività specifica della singola condotta in concreto accertata; ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato (come nel caso - prospettato dal giudice rimettente - della coltivazione in atto, e senza previsione di ulteriori sviluppi, di un'unica pianta da cui possa estrarsi il principio attivo della sostanza stupefacente in misura talmente esigua da essere insufficiente, ove assunto, a determinare un apprezzabile stato stupefacente), viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta, proprio perché la indispensabile connotazione di offensività in generale di quest'ultima implica di riflesso la necessità che anche in concreto la offensività sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell'agente, in difetto di ciò venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile (art. 49 cod. pen.).
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La mancanza dell'offensività in concreto della condotta dell'agente non radica però alcuna questione di costituzionalità, ma implica soltanto un giudizio di merito devoluto al giudice ordinario (sentenze n. 133 del 1992 e n. 333 del 1991)
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In ossequio, quindi, al principio di offensività inteso nella sua accezione concreta, spetterà al giudice verificare se la condotta, di volta in volta contestata all'agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto risultando in concreto inoffensiva.
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La condotta è "inoffensiva" soltanto se il bene tutelato non è stato leso o messo in pericolo anche in grado minimo (irrilevante, infatti, è a tal fine il grado dell'offesa).
Ne deriva quindi che, ove la sostanza ricavabile dalla coltivazione sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, ben può (rectius deve) il giudice di merito escludere l'offensività in concreto e ritenere la condotta non punibile (così Cass., Sez. IV; 13.4.2001, n. 15688, Vicini; 7.11.2002, n. 37253, Cantini; 30.5.2003, n. 23842, Morrone; 6.2.2004, n. 4836, Felsini; 8.3.2006, n. 8142, P.G. in proc. Fanfani; nonché Sez. VI, 6.6.2005, n. 20938, Bortoletto).
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